“Il niente,sono in mezzo al niente”. Me lo ripeto mentre procedo a passo lento e affaticato (la notturna Como – Bellagio della scorsa notte evidentemente ha lasciato lunghi strascichi di … di morte direi, nel mio fisichino non propriamente al top) su per il bosco. Un bosco bellissimo, fitto ma nel contempo luminoso. Le piante, a tronco alto, e i rami non fittissimi lasciano modo alla luce di entrare. Val Mastellone, un nome mai sentito prima di oggi. Non mi sorprende: non c’è nulla. Paesi disabitati oppure sì abitati, ma composti da numero 4 case (e non scherzo, con 4 dico 4, non una di più e non una di meno!). Ed è qui, in questa valle laterale della Valsesia che si sviluppa lungo l’omonimo torrente, che puoi trovare quel niente che, paradossalmente, riempie il cuore. O per lo meno occupa uno spazio, nel cuore e nella mente, cosa che al giorno d’oggi, tra il traffico dell’A4 e lo sberluccichìo delle luci, non è affatto poco. Un silenzio che entra nella testa, che perfora le cervella, che si infila nella viscere. E un buio che è buio per davvero. A volte te lo sogni questo buio. A volte aneli a questo silenzio, rotto solamente dallo scorrere di un fiume. E quelle volte, d’ora in avanti ci penserò, mi ricorderò di essere stata qui.
Il comune di Rimella conta poco più di 700 abitanti ed è la prima comunità walser fondata in Valsesia, nonchè pare l’unica presente in Val Mastallone. E queste 700 anime sono suddivise in 14 frazioni, che si spargono (4 case alla volta) sulla montagna.
Il territorio ha davvero un fascino tutto suo, selvaggio e incontaminato. Qua succedono cose strane e che ti riportano un po’ insieto nel tempo: ad esempio, c’è un albergo, un ristorante, che quando arrivi per pagare il conto ti dice “Allora, sulla bottiglia due euro di sconto perchè non l’hai bevuta tutta, l’aperitivo offerto dai, erano solo due prosecchi, e il dolce… hai preso solo una pallina di gelato (con ribes e rum) quindi è una dose da bambini, non te lo faccio pagare”. E tu rimani lì, così, pagfhi, ringrazi e vai. Con lo sguardo attonito e un sorrisetto incredulo poggiato sulle labbra, mentre lo sguardo si perde su quelle case là, che paiono un collage nel fitto del bosco.
“Domani vado là, a vedere cosa sono quelle case”.
Dormi in un posto magico e incantato (http://www.walserhouse.com/), con un cagnino malefico che ti ringhia a un po’, e la mattina successiva parti alla volta di “quelle case là”.
Le gambe fanno ancora male ma la voglia di scoprire non manca. Scivoli sui protoni, inciampi nei neutroni… particelle subatomiche che oppongono una certa resistenza e ti obbligano a chissà quale sforzo per sollevare la gamba.
Arrivi a Roncaccio inferiore… nulla, completamente disabitato. Ti aggiri come un fantasma tra le case, cadenti. E poi scopri che esiste anche un Roncaccio Superiore e pensi “Jeppa, chissà che vita lassù”. Prosegui nel bosco, e la parte superiore della “City” ha persino la Chiesa e… un piccolo B&b. In un paese disabitato. L’assurdo nell’assurdo. In mezzo al bosco. Dove non arrivano le auto. Dove non ci capiti manco per errore.

Si vorrebbe andare, come Howl con il suo castello errante, ma le gambe fanno male ora e si ritorna.
Il giorno successivo tocca all’altro ramo della vallata, quello che da Fobello sale e, nuovamente, si perde nel nulla. Qua seguo lo scorrere di un torrente (il Rio Maztellone) fino a una folle cascata, le cui acque, cadendo con forza in una strozzatura della roccia, vengono ributtate verso il cielo con una forza impensabile. Sono fuochi d’artificio, ma fatti d’acqua. Acqua freddissima, glaciale, che proviene da dei nevai che scorgo il lontananza, e nella quale mi immergo per poi riuscire trafitta da mille spilli.
Un luogo nuovo, strano, incantato. Un luogo che mi lascia nello zaino un piccolo cimelio, un dono della Grande Guerra. Ora sta sulla mia scrivania, in attesa di essere pulito e di scoprire a cosa servisse. Un portavivande? Troppo piccolo. Un porta tabacco forse, finemente decorato con delle conchiglie sul coperchio. In alluminio. Chissà se mentre fumava il suo tabacco, poco distante dal fronte, lui pensava a casa, ai cari e agli amori. Chissà se scriveva. Chissà se è tornato. Scorre la storia, come il fiume. E gela un po’ anche me. Sogno ad occhi aperti. Forse, qua, bisogna ritornare.